Carmen Consoli racconta “Volevo fare la rockstar”

“Volevo fare la rockstar”, il nuovo disco di Carmen Consoli, arriva domani 24 settembre.

Il tema lungo cui si svolge l’album (il nono di Carmen Consoli) è il sogno, da coccolare, coltivare, far crescere e trasformare in progetto e quindi realizzarlo. Facendo, non solo sperando con gli occhi a cuore. La piccola Carmen, ritratta nella foto di copertina con fiocco rosa e grembiule a scuola, aveva il sogno di fare la cantante, ed eccola qui, a scrivere e cantare di sogni, desideri e ricordi nei nuovi brani, che si rincorrono tra passato, presente e futuro: questo è l’intenso e bellissimo “Volevo fare la rockstar” (parere che esprimo dopo due ascolti).

“Volevo fare la rockstar”, che dà il titolo al disco, è una delle tre canzoni scritte durante il covid. Racconta Carmen Consoli: “Ho voluto parlare di me, di ciò che mi accadeva, dei ricordi, mi sono messa al centro della canzone. Sono una mancina corretta, a quei tempi a scuola non facevano scrivere con la sinistra. In quegli anni c’era l’Italia della famiglia di mia madre, veneta, e l’Italia della famiglia di mio padre, siciliana. Anche nei gusti dei piatti portati in tavola ho vissuto l’unione di queste due ‘italie’, matrimonio e storia d’amore riuscitissima. Erano due parti d’Italia non così diverse nel loro essere festose. Intanto, nel resto dell’Italia succedevano delle cose. Mio padre mi aveva regalato una musicassetta di Elvis Presley, io la ascoltavo nel mio mangiacassette e volevo fare la rockstar: mentre a scuola facevamo merenda in cortile sognavo un palco, una chitarra vera, le luci colorate e quella gomma da masticare famosissima e rosa, che non so perché avevo associato all’essere rockstar. Questo mio sogno era molto incentivato dai miei genitori. Negli anni ’80 da noi c’erano le faide, mi capitava di vedere steso sul marciapiede un uomo coperto da un lenzuolo da cui uscivano le scarpe. Chiedevo spiegazioni a mio padre: che cosa poteva mai rispondere a me, bambina? Mi diceva che gli era venuta una botta di sonno. E mi diceva di lasciar stare, “Pensa alla musica!”. Io sognavo a occhi aperti, cosciente, creavo band. Anzi, ai miei tempi si chiamavano complessi, formati con altri bambini che suonavano strumenti.

Quando apri il cuore e segui i tuoi sogni, succede sempre qualcosa: “Sì. Non era un crimine sognare, né prendersi il proprio tempo per sognare, per desiderare. Il sogno doveva diventare desiderio, poi diventare progetto. I miei mi dicevano che dovevo sapere cosa volevo fare nella vita per compiere le azioni che mi portassero a raggiungere questo obiettivo. Io ho imparato che gli atti, il lavoro, l’impegno, ti portano a realizzare il tuo desiderio. E dico: facciamo le cose che ci piacciono. Oggi pensiamo al tenore di vita e non alla felicità, che è un valore extrasociale. Perciò ricordiamoci della felicità”. E Carmen ritorna ancora indietro, con i ricordi: “Si dava molta importanza al cuore, negli anni ’70. Quando si accetta quello che siamo si vive per raggiungere il sogno, ciò per cui siamo nati. Si apre così il cuore, e non bisogna aver paura perché lì si realizzano le cose”.

E continua Carmen a ragionare su come noi “Siamo anime in carriera. C’è un aggiornamento continuo delle persone, per esempio oggi sento dire ‘ho cambiato il fidanzato’ come fosse un cellulare. Rottamiamo, asfaltiamo. Vedo un fatto smentito da un’opinione, da parole a cui si crede. Io devo essere ciò che gli altri si aspettano che io sia, ma io dove sono? Mettiamo da parte i nostri desideri più profondi, forse ci manca qualcosa… ma prima o poi i nodi vengono al pettine”.

“Volevo fare la rockstar”: dopo i sogni, gli incubi

Accanto ai sogni in questo disco ci sono gli incubi e le paure, c’è l’uomo nero citato in un paio di canzoni. C’è anche un “Mago magone”: “Ho immaginato un villaggio fiabesco dove arriva da molto lontano un uomo, con un sacco pieno di magie. Questo signore attira gente, ha una soluzione per tutto. Sa che la paura unisce le persone, tocca tutti i tasti dolenti giusti. La voce da imbonitore circense che si sente nel brano è di mio figlio”.

In “Volevo fare la rockstar” c’è anche una canzone sulla paura della paura, è “Imparare dagli alberi a camminare”, scritta all’inizio della pandemia. “Si parlava di questo covid, che era lontano, in Cina. Avevamo previsto l’uscita del disco in aprile. A febbraio ci bloccano in casa, io, mia madre, mio figlio ed Elena, che si occupa di mio figlio. Non si sapeva cosa fosse questo virus, né cosa potesse succedere. Carlo, mio figlio, aveva paura e dormiva con me, sognando di vedere i suoi amici. E questa cosa è entrata all’inizio della canzone. In quegli stessi giorni, avevamo paura ma avevamo aperto anche i nostri cuori. Abbiamo visto la natura riprendere piede, con i fiori che spuntavano tra l’asfalto perché nessuno passava per strada. Volevo descrivere questa situazione nella canzone ma non volevo parlare della pandemia. Avevo letto di un segnale che ci era arrivato dallo spazio, forse negli anni ’70. Comunque, per gli scienziati era un messaggio strutturato e quindi segnale di vita. Nacque una grande disputa, pensando che degli alieni avrebbero potuto raggiungere la terra. Ma non ci bastano gli uomini, ci andiamo a cercare gli alieni? Insomma, forse a volte bisogna ridimensionare la paura: i cani abbaiano ai gatti randagi, non abbaiano per colpa degli alieni. Questo messaggio giunto dallo spazio non è altro che l’arrivo di questa pandemia, che è una cosa che grazie alla scienza stiamo riuscendo a contenere. Riusciremo a uscire senza le mascherine”.

Carmen Consoli, poi, scrive a suo figlio Carlo una lettera: è la canzone “Le cose di sempre”, che “Nasce dopo tutto. Eravamo al mare e ho pensato al Libro della giungla, vedendo mio figlio come Mowgli: sono io che lo devo guidare. Non è facile insegnargli il valore delle parole, della coerenza, dell’esistenza. In questa selva oscura, però, prima o poi arriveranno una luce e un sogno. Per sognare ci vuole cuore. C’è una legge matematica superiore per cui l’universo obbedisce al cuore, all’amore”. Nel disco c’è anche una lettera al padre di Carmen, “Armonie numeriche”, in cui la matematica diventa il linguaggio per trovare appunto suo padre. “Le cose di sempre sono quelle di cui non ci accorgiamo, quando però le osserviamo vediamo che sono lì. Mio papà mi ha insegnato la coerenza, che ha bisogno di tempo. Il giorno del mio compleanno, qualche giorno fa, nel dormiveglia ‘vedevo’ mio padre che veniva a farmi gli auguri. Sicuramente è stata la suggestione, ma ho sentito l’odore del suo dopobarba. Mio padre era una grande conoscitore dell’armonia musicale, che è regolata dalla matematica, dai numeri: ecco perché il titolo della canzone”.

Le canzoni sono 10, e sono quello che scrive e canta oggi una bambina che voleva fare la rockstar.

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