Geolier porta Napoli a Sanremo

Ma quanto è simpatico Geolier? Ok, ok, siamo qui per parlare di musica e di Festival di Sanremo. Ecco quello che ha raccontato rispondendo a un po’ – un bel po’ – di domande.

Ma come sempre, prima riepilogo brevemente alcune informazioni su Geolier (Emanuele Palumbo, nato a Napoli nel 2000, cresciuto a Secondigliano, rapper), che raccontano quello che ha fatto e farà nella sua carriera. Certificato 5 volte platino, il suo album “Il coraggio dei bambini” è stato il disco più ascoltato del 2023, traguardo che gli conferisce anche un primato: Geolier è l’unico artista napoletano ad aver raggiunto il record di album bestseller dell’anno da quando esistono le rilevazioni annuali della FIMI (vale a dire dal 1999). Dopo un anno di grandi successi Geolier apre il 2024 in gara al Festival di Sanremo con il brano “I p’ me, tu p’ te” (Warner Music Italy).

“I p’ me, tu p’ te”, brano che non poteva che essere in napoletano, prodotto da Michelangelo, è una canzone uptempo, con cassa dritta. Parla di una coppia che si ama troppo ma, allo stesso tempo, capisce che è arrivato il momento di riprendersi ognuno i propri spazi e pensare un po’ anche a se stessi. Amare vuol dire anche accettare la fine di una storia, nel rispetto dell’altro partner.

[Foto di apertura: Matteo (baglyo) Baglioni].

Geolier: l’intervista

Il rap a Sanremo è stato sdoganato?

Sì, c’è stato Lazza l’anno scorso che spinge e spingerà altri verso il Festival così come io spero di spingere qui altri artisti provenienti dal mio mondo: sogno Guè e Marra all’Ariston.

Com’è nata la tua canzone?

È nata quando Ama mi ha concesso di portare un testo in napoletano, scritto con Michelangelo. La frase in italiano è stata una scelta artistica. È un brano incentrato sul rispetto che si deve l’uno per l’altra quando non c’è più amore, quando arriva il momento di separarsi. Per me arrivare su quel palco cantando in napoletano è già una vittoria, mo’ può succedere di tutto perché quello che volevo fare l’ho fatto. Voglio portare Napoli là, su quel palco. Napoli non è solo camorra, abbiamo cose più belle da raccontare.

Qual è il tuo approccio alla musica?

Io mi sento un cronista quando faccio musica, scendo in strada e racconto quello che vedo. Sono nato a Secondigliano, ho visto tante realtà. Mio papà mi diceva che di un film conta il finale, e in certi film il protagonista o è morto o è in carcere. Secondo me l’arte non ha una finalità educativa, è anche sbagliando e guardando gli sbagli altrui ho capito cosa non dovevo fare.

Chi sono i tuoi maestri?

I Co’Sang (indica la maglietta che indossa, nda), per me sono parte della storia della musica napoletana. Io però mi ispiro al sentimento di Pino, alla melodia di Gigi, alla schiettezza di Troisi. Io imparato da tutti, anche il sentimento della canzone neomelodica mi ha influenzato molto.

Quello che volevi fare l’hai già fatto hai detto, ed era arrivare al Festival. Cosa dici di tutti gli altri numeri che fa la tua musica?

Lo scopo era un altro ed era vivere di musica, uscire dall’etichetta che la strada ti mette addosso anche se io la strada non l’ho mai vista. A 8 o 9 anni facevo la minuteria dei lampadari a casa, mi volevo creare un futuro. Voglio togliere ragazzi dalla strada, e toglierne ancora e ancora. I risultati che ho raggiunto sono bellissimi ma non erano nelle prospettive che avevamo. Parlo al plurale perché io qui sono io ma dietro di me ci sono tante persone con le loro famiglie. Emanuele e gli altri fratelli lavorano per Geolier, io ho una responsabilità ma complessivamente è del collettivo.

A Napoli sei amatissimo. Esci di casa e ti chiedono foto?

Sempre, ma è tutto bellissimo. Faccio foto con chi me le chiede, mi dicevano sarai stanco dopo interviste. Ma no, sono stanche le persone che fanno altri lavori. Me la vivo bene, a Napoli mi trattano non da star ma come se fossimo in famiglia. Mi hanno creato loro.

Sei il primo, artisti internazionali inclusi, a fare tre concerti allo Stadio Maradona. Dopo il sold out dei primi due live, il 22 – tutto esaurito in meno di 48 ore – e il 23 giugno, hai annunciato alcune ore fa la terza data per il 21. Quindi…?

Già 4 palazzetti facevo fatica a farceli stare in bocca, adesso 3 stadi non ci entrano proprio. Io volevo fare un concerto al Palapartenope, adesso che ci sono 3 concerti allo stadio voglio che siano una festa di Napoli, della città. È una cosa troppo grande, per ora non ci penso ma una settimana prima farò me la farò sotto.

A Sanremo ti seguirà il tuo pubblico, ma il Festival arriva a moltissime altre persone: come ti presenti ai nonni dei tuoi fan che non ti conoscono?

Io il Festival lo guardavo mamma e papà. I ragazzini oggi lo guardano nella loro camera, in salotto lo guardano i genitori. Come mi presento? Io spero che la gente si sieda e dica fammi ascoltare chi è questo ragazzo, cosa fa.

Conti sull’effetto sorpresa, in più cantando in napoletano.

Io so cantare in napoletano, non riesco a cantare in italiano per adesso. Non sono il primo ad arrivare all’Ariston cantando nella nostra lingua, ma il primo a farlo avendo cantato e cantando solo napoletano, non italiano.

Anche la cover sarà in napoletano?

Sì, ma non posso dire altro. Porterò il mio mondo, il rap.

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