Davide Pepe racconta “L’amore lievita”

Davide Pepe è cantautore e chitarrista, da anni percorre palchi, festival e note. Sì, ci sono festival a cui lui ha preso parte che non esistono più, un po’ a me spiace, ma comunque resta l’esperienza che hanno regalato.

Davide nel 2014 ha anche partecipato ad Area Sanremo, continua a suonare e a scrivere, a scrivere e a suonare e infatti – per venire a tempi recenti – dal 2020 a oggi ha pubblicato diversi singoli. Quello più recente è “L’amore lievita”. È una canzone piccola, nell’accezione nobile del termine perché cattura la magia delle piccole cose e del quotidiano, che diventano un inno all’amore: quello che parte da noi e che è qui, nell’aria, mica su Marte – se ascoltate la canzone capite questo riferimento. Stiamo con i piedi per terra, ma con il cuore aperto.

L’intervista

La canzone dice anche che è anche necessario proteggerci da ciò che fa male mentre abbracciamo quello che ci rende felici. Proteggersi da ciò che ci fa male: perché così spesso ultimamente se ne parla nelle canzoni?

Le situazioni tossiche, per usare una parola che oggi si sente moltissimo, ci sono sempre state. Adesso sono sotto la lente d’ingrandimento. Tossico è qualcosa che arriva quasi a inquinare i nostri pensieri e a interferire con la nostra vita. La tossicità dell’amore c’è sempre stata; come direbbero Elio e le storie tese, è vero che la droga miete vittime ma l’amore ne miete molte di più. Questa frase l’hanno detta durante un concerto a Policoro anni fa, mai fu detta cosa più vera (ride, nda), ma l’amore ha i suoi lati positivi. Il punto è distinguere situazioni anomale e non farsi travolgere. Ecco, “L’amore lievita” parla del contrario di tutto quello di cui sto parlando, cioè parla della crescita di qualcosa che si suppone sia spontanea e sana.

Quel ‘lievita’ profuma di pane.

“Infatti è proprio quello, cioè il veder crescere qualcosa che poi possa nutrire. Molte delle mie canzoni sono autobiografiche, altre nascono da semplici riflessioni, magari da dei post sui social: “L’amore lievita” è nata in un periodo in cui quel profumo di pane si sentiva molto forte. La base della canzone ce l’avevo da un po’, se non ricordo male il file del progetto sul computer l’avevo rinominato con una parolaccia perché era una base per cui non riuscivo a trovare un testo che valesse la pena scrivere. E poi – ti parlo di tempo fa – è arrivato un momento particolare, con riflessioni e situazioni personali che mi hanno fatto sentire l’esigenza di scrivere questo testo che racchiude i discorsi e i riferimenti a quel momento, come possono essere le chitarre sopra il letto, il gatto che dorme. Tutto questo c’era in quel periodo e in quel periodo lì si sentiva qualcosa crescere, crescere, crescere. Allora ho preso un foglio e una penna e il testo è nato in cinque minuti. È stato un caso che fosse il settimo singolo, sulla copertina del singolo è stata usata l’immagine di un tappo di bottiglia con il numero 7 sopra. Insomma questo 7 torna spesso. Ad esempio, la band con cui suono live si chiama Camera 133, dove 1 più 3 più 3 fa 7.

Sei come Ligabue.

O anche come Jim Carrey, in un film è perseguitato da un numero che era ovunque. Dicono che il 7 sia un numero fortunato, ma col senno di poi mi ha portato sfortuna (ride, nda).

Parliamo di live?

Ci saranno, suppongo già dalla primavera nei piccoli club, poi in estate nelle piazze e nei festival. Penso all’uscita di un album che raccolga tutti i singoli pubblicati, più altri inediti e magari anche una o due cover. Io non amo particolarmente fare cover però ultimamente ho preso in considerazione due titoli che non spoilero. Amo molto riarrangiare in chiave mia personale canzoni un po’ datate, non quelle attuali perché con queste non avrebbe senso. Meglio farlo con brani di Buscaglione, Mina, Jimmy Fontana.