Oreazon presentano la loro “Fiaba”

Intervista al trio milanese che ci parla del nuovo singolo.

Beh, cosa c’è di più pop delle fiabe? 5 Franci pop per gli Oreazon.

Dopo diversi singoli e l’ep – peraltro fresco di pubblicazione – “Midnight dance” , la band milanese degli Oreazon torna pubblicando una nuova canzone. Si intitola “Fiaba”, me la sono fatta raccontare. Un po’, alla fine Frank Zappa non aveva tutti i torni quando diceva che scrivere di musica è come ballare di architettura (anche se forse la frase non è nemmeno sua, ma comunque) e le canzoni più che spiegate vanno ascoltate.

[La foto della band è di Valentina Privitera].

Oreazon: l’intervista

Iniziamo dal vostro nome, particolare! Da dove deriva?
Il nome Oreazon (pronunciato: O-RI-SON) può essere visto come una fusione delle parole horizon e reason, ma di fatto è un misspelling della parola horizon, che è contenuta nel ritornello della canzone “Comfortably numb” dei Pink Floyd, una delle nostre preferite. Oltre a far venire i brividi per il modo in cui David Gilmour la scandisce, è stato il significato di questa parola a colpirci: “the line where the earth seems to meet the
sky”. Qualcosa che vediamo ma che, al contempo, non esiste. C’è qualcosa di magico in questo termine.

“Fiaba” è una canzone sui ruoli che ci impone la società e che ci autoimponiamo?

Sicuramente i ruoli che la società impone ci hanno influenzato. Infatti, abbiamo scelto deliberatamente, e anche provocatoriamente, di iniziare il testo con lo stereotipo della classica fiaba tradizionale: lui bellissimo, perfetto e forte, lei bellissima (e solo apparentemente) in difficoltà. Tuttavia, la canzone si riferisce principalmente ai ruoli che noi stessi ci autoimponiamo, del salvatore/salvatrice/* e di chi “deve” essere
salvato/a/*. I generi possono tranquillamente essere scambiati.

Com’è nata la canzone?

“Fiaba” è nata come uno sfogo personale. Si basa sulla premessa che una persona all’apparenza bisognosa ‘aiuto, poi, in realtà, nuoti benissimo nel proprio mare, senza alcun rischio di affondare. Lo stereotipo della ragazza rinchiusa nella torre, povera e indifesa, che ha bisogno di essere salvata dal terribile drago che la tiene prigioniera, era il primo esempio pratico che ci è venuto in mente per scrivere questa storia. A
questo poi si è aggiunto un sentimento di woman empowerment, che ha contribuito alla nascita di una fiaba, simile a quelle dei fratelli Grimm. E la fine del principe, a causa della sua arroganza e stupidità, rispecchia appieno questo spirito. Talvolta ci illudiamo che gli altri necessitino del nostro aiuto per
essere “salvati”, e in alcuni casi potrebbe essere pure vero, tuttavia, molto spesso, sono proprio le persone a costruirsi le gabbie che le circondano.

Ricordo una pubblicità di anni fa, “per l’uomo che non deve chiedere mai”. A proposito di stereotipi e gabbie.

In riferimento a questa pubblicità, sì, in tutto questo c’è sicuramente una buona dose di ego da parte di chi,
ad un certo punto, decide che quella determinata persona “deve essere sua e farà di tutto per averla”, senza veramente sapere neanche chi sia la persona che ha davanti a sè e, appunto, l’altra persona lo voglia davvero.

Potremmo scrivere un trattato su questi argomenti, chiudiamo con una domanda diversa: siete di Milano, questa città in qualche modo vi è di ispirazione?
Milano è la cornice in cui nascono tutte le nostre canzoni. La città ha certamente influito nella creazione di quest’ultimo brano, poiché la storia da cui trae spunto è accaduta proprio lì. Tuttavia, rispetto ad altre nostre canzoni, in questo caso ha avuto un’importanza secondaria, non essendo direttamente correlata al testo. Ad esempio, in “Città di carta” il nome della città viene menzionato esplicitamente, mentre in “FLASH
LOVE”
è stata la principale fonte d’ispirazione, raccontando di un’estate trascorsa in modo atipico nella nostra metropoli.